Un goto a mi e ‘na spuma par el bocia – #5 IL SOAVE

IL SOAVE

Vi racconto qualcosa sul vino Il Soave. II nome, chiaramente, dice già tutto, forse però non conoscete la fama di questo vino lodato e apprezzato anche fra grandi personaggi del passato.
Cassiodoro, il ministro del barbaro Re Teodorico, ne ha decantato le lodi definendolo “di bella bianchezza e chiara purità, tanto che si crederebbe nato da gigli”. Il vino Soave è stato celebrato anche da Dante Alighieri, la cui definizione poetica , sintetica e precisa, è stata “Che vino Soave!” ma anche il vate e poeta Gabriele D’Annunzio che ne amava le note corpose.

E anche se nel suo territorio d’origine si abbina con pasta fresca e cotechino, il Soave si sposa perfettamente ai cibi di tutto il mondo: dal ramen, al sushi e sashimi, dal fish & chips, allo smorrebrod e persino al Pad-thai.

Per gustarlo in tutte le sue declinazioni però non serve fare il giro del mondo, basta venire ad Hostaria, il Festival del Vino più bello che ci sia.

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Un goto par mi e ‘na spuma par el bocia – #4 IL LUGANA

IL LUGANA

Immaginatevi com’era la Selva Lucana: una foresta acquitrinosa popolata da cervi, cinghiali e daini, uno spettacolo naturale dirompente!
Questa zona sorge tra le Colline Moreniche, nell’area del Garda del Sud, provincia bresciana ma diocesi veronese. Sarà il clima mite, le calme acque del Garda o le felici turiste tedesche, è sempre bello bersi un goto in questo locus amoenus.
Le celebrità che ne amano il sapore si sprecano, già Isabella d’Este, quando era in vacanza al Lago di Garda, ne apprezzò molto il gusto garbato.
Talmente signorile e piacevole il Lugana che un paio di anni fa qualcuno ha ritenuto potesse essere gustato anche sotto forma di gelato, per chi rimane più sul tradizionale lo si consiglia allo stato liquido ma fresco, ad accompagnare un lavarello o una trota.
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Un goto par mi e ‘na spuma par el bocia – #3 IL BARDOLINO

IL BARDOLINO

È stato quasi un miracolo far arrivare la vite che caratterizza il Bardolino ai tempi moderni, un dono di-vino!
Venne coltivata fin dall’età del bronzo, come testimoniano alcuni semi ritrovati nelle palafitte di Peschiera, Lazise, Cisano e Pacengo. Troviamo citazioni dal poeta antico 
e originario della zona Publio Virgilio Marone, meglio conosciuto come Virgilio, ma è solo grazie ai Monaci della Chiesa di San Colombano che il vino bardolino venne salvato dalla scomparsa e tramandato ai posteri, e sapete perché? Veniva usato per i riti del cristianesimo.
Nasce tra le Colline Moreniche ed il Lago di Garda, luoghi del mangiar bene secondo la tradizione lacustre e quella mantovana.

Si sposa bene anche con il cibo “di sostanza” che troverete ad Hostaria, nelle sbecolerie, che tra un discorso e l’altro non possono mai mancare!
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Un goto a mi e ‘na spuma par el bocia – #2 IL VALPOLICELLA

IL VALPOLICELLA

Oggi parliamo di un vino apprezzato a livello globale.
Lo faremo attraverso una citazione di Hemingway, lui che amava il vino quanto, o forse più, della scrittura. Nelle sue gite a Verona, definiva il Valpolicella “cordiale e sincero, da bere insieme a un amico con cui si va d’accordo”.
Come saprete, dai vitigni autoctoni della Valpolicella si produce anche il Recioto ma a rendere questa zona vinicola famosa in tutto il mondo è l’Amarone, la cui storia ha dell’incredibile: un giorno di una settantina di anni fa qualcuno si dimenticò di fermare la fermentazione del classico Recioto, in poche parole “l’era scapà”. Si ritrovò con un vino passito secco ricco di corpo e affascinante allo stesso tempo. Proprio perché non dolce, questo vino venne chiamato Amaro, fino a diventare “Amarone”.
È un vino dalla personalità unica da degustare in buona compagnia o con profondo spirito meditativo.
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Un goto a mi e ‘na spuma par el bocia – #1 IL CUSTOZA

IL CUSTOZA

Come diceva Edmondo De Amicis, l’autore del famoso libro “Cuore”, “Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia ed una scintilla all’amore”. Lo scrittore ha ambientato a Custoza la storia coraggiosa del Tamburino Sardo, un impavido ragazzino che contribuì alla vittoria italiana rimanendo ferito ad una gamba. In questo territorio famoso per la battaglia che mise a repentaglio la vita di molti soldati nasce anche il vino che imbandisce le nostre tavole quando è il momento di mangiare i tortellini, che siano in brodo, di zucca, di magro o con ricotta e spinaci, non c’è cosa più bella che andare a Valeggio e gustarseli con un bicchiere di Custoza.
Se poi è un appuntamento galante, ve lo consiglio ancor di più: il Custoza viene anche definito il “Vino delle Donne” perché molto gradito al gentil sesso, provare per credere.
Tendenzialmente si preferisce berlo giovane nell’annata.
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IL RINASCIMENTO IN VIGNA

La storia dei vini veronesi è anche la storia di un grande sforzo corale, che ha visto come protagonisti gli agricoltori, i vinificatori, gli enologi e tutti coloro che di vino si sono occupati in questo territorio nel corso degli ultimi centocinquant’anni. Il vino di Verona non è sempre stato apprezzato e celebrato come lo è oggi. C’è stato un tempo, parliamo dell’Ottocento, in cui c’erano più vigne nella pianura attorno a Legnago che non nelle colline della fascia pedemontana, da sempre ritenuta un habitat ottimale per la coltivazione della vite. Era un tempo in cui l’uva veniva vendemmiata troppo presto e la vinificazione veniva eseguita con molta approssimazione. I vini costavano poco e duravano poco. L’esportazione era limitata e i mercati internazionali ritenevano che i vini italiani, con l’eccezione dei piemontesi e dei toscani, fossero vini scadenti. L’alta cucina europea beveva vini francesi, o vini tedeschi del Reno, o vino tokaj ungherese. Le cose sono cambiate un po’ alla volta, grazie alla costanza, alla forza, alla pazienza e alla progressiva apertura mentale dei produttori. Negli ultimi cinquant’anni l’evoluzione del vino veronese è stata semplicemente straordinaria. I doc di Verona hanno conquistato il mondo e sono entrati nelle enoteche più esclusive. Quella che già nell’Ottocento veniva descritta come la “mancata” Borgogna italiana, oggi è finalmente diventata una delle patrie mondiali del vino.

 

 

 

IL VINO DI CATULLO

Zeno, santo patrono di Verona, è stato vescovo della città del IV secolo. Nella sua famosa predica al vignaiolo scrisse: “Il Signore ha piantato per sé un altro vigneto, quello del nostro popolo, e in questo vigneto confluisce tutta l’abbondanza di frutti predetta dai profeti. Ora, carissimi agricoltori, perdonate a me, vostro coltivatore, se, parlando di viti, la mia poca esperienza non risponderà in tutto alla vostra competenza”. Il futuro santo si esprimeva con estrema modestia ma in realtà la sua predica era un vero e proprio trattato di viticultura. E stiamo parlando di una predica di quasi 1700 anni fa! Per la storia della viticoltura questo antico documento è talmente importante che i Consorzi di Tutela dei vini veronesi hanno nel proprio logo l’immagine del santo. Ma quando inizia la storia della viticultura veronese? Le più antiche tracce sono foglie fossili di vitacee antenate della vite, datate 40 milioni di anni fa. Sono state trovate nella celebre pesciaia di Bolca, sulle colline veronesi. Con ogni probabilità la coltivazione effettiva risale al V sec. a.C. Più avanti, ai tempi di Catullo, che da buon veronese amava il vino, le anfore di Reticum della Valpolicella venivano spedite a Roma, dove incontravano molto successo. Anche re Teodorico apprezzava molto il vino locale. È celebre la lettera scritta da Cassiodoro, rivolta ai possessori veronesi, nella quale l’illustre funzionario regio di Teodorico elogiava il vino acinatico di Verona e ne descriveva il lento appassimento e la pigiatura delicata.

 

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