IL MONUMENTO AL PANDORO
A Verona pochi sanno che al pandoro è dedicata una statua. Anzi due.
Si trovano al numero 21 di corso Porta Borsari, come ornamento delle terrazze al quarto piano. Stanno lì per ricordare che in quel palazzo c’era la pasticceria di Domenico Melegatti, al quale il 14 ottobre 1894 venne consegnato il Certificato di Privativa Industriale per il pandoro.
Di veramente originale il nuovo dolce aveva soprattutto la forma, ideata dal pittore veronese Angelo Dall’Oca Bianca, il metodo di produzione molto innovativo, il tipo di confezione e anche il sistema di vendita, che era per corrispondenza.
Il pandoro in realtà aveva vari antenati. Un pane dolce è citato già da Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. e pane de oro era il dolce che veniva servito sulle tavole dei nobili veneziani intorno al XIII secolo. Di sicuro Domenico Melegatti si ispirò alla tradizione tutta veronese del levà, dolce natalizio fatto con farina, latte e lievito. Ma abbastanza evidente è anche la somiglianza con l’altro dolce di Verona legato al Natale, il nadalìn.
Dopo Melegatti sono arrivati gli altri nomi del pandoro. Ognuno racconta una propria storia, ma gli ingredienti sono tutti ricchi di vita, impegno e passione. Come quella del pasticcere Ruggero Bauli, che sopravvisse al naufragio del transatlantico Principessa Mafalda, il 25 ottobre 1927. Voleva andare in Argentina a fare il pasticcere ma nel disastro perse tutte le sue attrezzature e così divenne tassista a Rio de Janeiro. Mesi dopo ripartì e finalmente arrivò a Buenos Aires dove fece il pasticcere e guadagnò i soldi di cui aveva bisogno. Nel 1937 tornò in Italia e aprì un laboratorio artigianale per fare il suo pandoro.